Foto di Caterina Vitanza
Ci sono immagini che sembrano portarti indietro nel tempo, e all’improvviso un vecchio lampione che illumina la strada come faceva un tempo, o una scala che si allunga sopra la strada fatta di pietre consumate dal tempo, ancora lì, come custodi silenziosi.
Qualcosa si risveglia dentro di te, incominci a sentire nell’aria i profumi e i rumori di allora: il panificio, il vento che trasportava gli odori di dolci e savoiarde, il vocio dei miei amici che chiamavano per giocare al nascondino e soprattutto il gioco del Festival di Sanremo, che risuona ancora come un’eco dolce e lontana.
Un ricordo che mescola al presente quelle giornate spensierate: noi bambini ma pieni di sogni e di immaginazione.
Il gioco di Sanremo ci trasformava in una piccola stella sul palco immaginario.
Le voci a volte stonate, a volte perfette, ma sempre cariche di energia e gioia.
Quella scala era il nostro teatro e il nostro palcoscenico.
Ogni bambino aveva la sua canzone preferita, imparata a memoria ascoltando la radio, e quando era il suo turno, si esibiva con entusiasmo, cantando a squarciagola, senza preoccuparsi per chi ascoltava.
Ma era tutto un gioco, un modo per condividere qualcosa di grande in quel piccolo angolo di mondo.
Ora camminando per quei percorsi mi sembra ancora di sentire quelle voci, quelle canzoni che riecheggiano tra le case e le scale, come se una parte di noi fosse rimasta lì, impressa nell’aria e nelle pietre.
Oggi quei suoni sono stati sostituiti da voci sconosciute, nuovi bambini che corrono sugli stessi marciapiedi.
La vita quotidiana ha nuovi profumi e rumori diversi: il suono delle auto che passa più spesso e più veloce, qualche conversazione al telefono che si sente per strada, i venditori ambulanti, e l’atmosfera è mutata, come se il tempo avesse modificato anche l’aria.